VENEZIA 73 PREMIO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA
USA/Cile/Francia 2016 – 95’
VENEZIA– “Vedo un pezzo del suo cranio volare via, sangue e pezzi del suo cervello sulle mie gambe…”: è come una brusca accelerazione quella che Pablo Larrain imprime d’un tratto al suo racconto. Un punto di svolta emotiva dopo che ha costruito passo passo, con sapienza, il suo ritratto di Jackie-Natalie Portman. L’ha presentata come elegante “guida turistica” che introduce il celebre servizio della CBS (1962) nelle stanze della Casa Bianca per illustrare le nuove scelte di arredo, l’ha mostrata volitiva e padrona di sé nei rapporti coi media nell’incontro-intervista con Theodore H. White di Life a soli sette giorni dalla tragedia (“Urlai, John mi senti? Aveva un’espressione meravigliosa sul volto. Sapevo che era morto… Ma queste cose non dovrà scriverle”), ne ha fotografato la fierezza nella difficile decisione sui rituali del funerale (“che De Gaulle si infili in un carrarmato, io andrò in mezzo alla gente”), l’ha sorretta tra dubbi e rimorsi con le sagge parole del sacerdote (“Dio nella sua immensa saggezza ci ha dato la forza per ricominciare daccapo, ogni giorno, dopo il caffè del mattino”), le ha dato consolazione nell’amicizia sincera di Nancy (Greta Gerwig), l’ha lasciata districarsi tra le urgenze del lutto e della politica nel faccia a faccia col cognato Bob (che ha preferito nasconderle l’assassinio di Oswald da parte di Jack Ruby), di fronte alla glaciale presenza di Lindon Johnson (“che modo orribile di cominciare la tua presidenza”), nelle estranianti spiegazioni ai figli (“è andato a far compagnia al vostro fratellino”).
E l’improvvisa deflagrazione di quello sparo (o degli spari? La sceneggiatura di Noah Oppenheim si tiene lontana dalla dietrologia delle dinamiche omicide, soprassiede sul teorema Zapruder, si affianca senza polemica alle tesi della commissione Warren), lascia brandelli di sgomento sul look impeccabile di Jackie. La si è vista amabile negli impeccabili abiti di rappresentanza (il bianco degli appuntamenti con la stampa, il rosso dei ricevimenti), la vedremo gelida nel nero del lutto, ma l’icona cinematografica in cui Larrain la immortala è quel tailleur rosa di Chanel macchiato di sangue, volutamente esibito “perché vedano bene cosa hanno fatto a John”. È un mirabile artificio metalinguistico di verosimiglianza: quel vestito che ha segnato i giorni del dramma di Dallas nel bianco e nero dei programmi televisivi di allora, si ripropone oggi nel suo impatto a colori, a ridisegnare la nuova lettura dei fatti e a rileggere, con originale sfaccettatura cromatica, il momento di una storia privata e pubblica indimenticabile.
Larrain intende ricostruire la memoria del tempo attraverso l’altero processo presenzialista con cui Jacqueline Lee Bouvier Kennedy ha voluto rendere omaggio a se stessa, alle proprie ambizioni (“non ho mai voluto la celebrità. Sono solo diventata una Kennedy”), al proprio smarrimento (Larrain l’ha definita “una regina senza corona, che perse in un sol colpo marito e trono”), al sogno kennediano per sempre infranto (”ci saranno di nuovo i grandi Presidenti, ma non ci sarà mai di nuovo un altro Camelot”). Il testamento che Larrain sancisce, proprio attraverso le dichiarazioni di Jackie all’inviato di Life è quello di “un barlume fugace di gloria”, di una mitopoietica che forse non fece in tempo raggiungere il cuore dei più ma che rimane come l’elisir di lunga vita di una progettualità politica elitaria e popolare al contempo di cui Jake e Jackie furono convinti, appassionati interpreti: la tavola rotonda degli eroi di Camelot (il musical da loro così amato) rivisitata, riproposta nelle stanze della White House, un altro “regno” dove “the rain never fall till after sundown; by eight the morning fog must disappear”*.
Larrain, temprato dall’amara esperienza delle “autopsie politiche” del suo Cile (Post Mortem), non si lascia certo sedurre dal mito americano, né dal fascino di Jackie, ma lascia che il suo cinema seduca noi, che le trame del musical pervadano non solo le nostalgie di Jackie ma anche le nostre: “in short, there’s simply not a more congenial spot for happily-ever-aftering than here in Camelot“**
Ezio Leoni – MCmagazine 41
* La pioggia non può cadere prima del tramonto; alla mattina alle otto la nebbia si deve dissipare
** In breve, non c’è un posto più opportuno per vivere per sempre felici e contenti che qui a Camelot