È la storia di una madre che soffre di visione doppia. Vede le persone divise in due… una negativa e una positiva. Questo disturbo le provoca un forte senso di disagio e prendersi cura del piccolo diventa un compito estenuante che la porterà all’esaurimento nervoso. Quando la situazione le sfugge di mano, è accusata di abusi sul bambino che di conseguenza le viene tolto. Mentre canta, però, non vede doppio. Quello è l’unico momento in cui il mondo torna a essere uno e la sua mente trova la pace. Conosce un uomo, incantato dalla sua voce, ma la storia tra i due finisce presto. Nel frattempo ottiene di nuovo la custodia del bambino, ma le sue “visioni doppie“ diventano così intense che….
Giappone 2011 – 91’
VENEZIA – La mente rappresenta un abisso la cui oscurità intimorisce e paralizza ogni vanagloriosa e apparente consapevolezza di controllo su di essa. Il cinema ha in sé molte caratteristiche che lo rendono uno strumento privilegiato per esplorare le anfrattuosità e le deviazioni nelle quali le articolazioni più complesse e incomprensibili si nascondono e prendono forme nuove e imprevedibili. Pochi registi hanno avuto il coraggio di addentrarsi proficuamente in certi luoghi e mostrare temi che, per naturale inclinazione, collidono e generano contraddittorietà se non sdegno e riprovazione. Shinya Tsukamoto è un artista del perturbante, le sue ossessioni si sono concentrate sulla deflagrazione della carne e l’estasi della mutazione dell’uomo macchina fino a scandagliare incubi, visioni e memorie sommerse. Su questa tendenza il visionario regista giapponese inserisce il suo ultimo concepimento caratterizzato da una profonda dualità. Kotoko, la protagonista da poco diventata madre, vive due esistenze tra loro antagoniste, in una scissione ambigua e materica, tangibile come lo sono i sogni al massimo del loro potenziale. La maternità è la conseguenza del tormento di Kotoko: cosa del resto rende più divisi che la presenza di una creatura, uscita dal proprio corpo, che necessità di tutte le nostre energie e forze per sopravvivere? Kotoko ha bisogno di cantare per far cessare le sue visioni. Il canto è quella forma di puro legame con la sostanza primordiale del desiderio.
Per questo Tsukamoto ha costruito il film attorno alla musa Cocco, interprete e autrice della musica: “Cocco è una cantautrice per la quale provo immenso rispetto. Canta con una passione che scaturisce direttamente dall’anima: intensa e allo stesso tempo molto dolce. La sua voce mi commuove profondamente e totalmente”. Dolcezza e passione descrivono i cardini di un discorso impervio: il mondo che circonda la donna è una specie di gabbia dove tutto può diventare un segnale estremamente pericoloso, un divieto, una stretta impulsiva e soffocante, un mondo sempre meno sicuro per via di una violenza dilagante che può arrivare a portare via all’improvviso e tragicamente la vita di una persona cara. I lampi di violenza improvvisi e taglienti, ci ricordano la ferita della creazione: la carne e il sangue assicurano che siamo vivi e poterli vedere e assaporare è il modo palpabile per rammentare il valore di quanto, temporaneamente, ci appartiene.
Alessandro Tognolo – MCmagazine31