Arriva la pensione, e all'improvviso ti senti sbattuto tra i Vuoti a rendere. Proprio come Josef, il protagonista del film diretto dal regista ceco Jan Sverak, già autore dello struggente Kolya (Oscar nel 1997). Praga (un po' meno magica del solito, ma sempre niente male), una coppia di ex professori, la ricerca di qualcosa da fare per non essere travolto dalla depressione. Josef avrebbe potuto insegnare ancora, ma un giorno ha detto basta: «Non mi sento più felice in questo posto». E adesso, sotto gli sguardi attoniti della moglie, si mette prima a consegnare pacchi in bicicletta, e poi a lavorare nel retro di un grande magazzino. Ritira, appunto, i vuoti a rendere. Intanto guarda il mondo: le belle donne che passano davanti ai suoi occhi (e che non manca di sognare in continuazione...), la figlia infelice appena lasciata dal marito, i nuovi, un po' strampalati compagni di lavoro. Con un rovello continuo: che ne sarà del rapporto con la donna con cui ha diviso 40 anni di vita in comune? Sorrisi, grazia narrativa, notazioni agrodolci, gran bel lavoro sulla sceneggiatura. Saluti da Praga, con tanto affetto. |
Luigi Paini - Il Sole-24 Ore |
Vuoti
a rendere
è molto più di un film. Il pur divertente e acuto film ceco, campione
d'incassi, ha una storia dietro più bella e affascinante di quella che
porta dentro. Se apparentemente è l'abile conclusione della trilogia della
famiglia Sverak - i De Sica della Repubblica Ceca, Jan, il figlio regista
e Zdenek, il padre sceneggiatore e attore - la realizzazione di quest'opera
annunciata e molto attesa ha rappresentato uno dei più affascinanti viaggi
nel mondo del cinema. Sverak raccontò l'infanzia nel delizioso Scuola
elementare e si rivolse all'età adulta per il premio Oscar 1996 per il
miglior film straniero
Kolya. Doveva e voleva arrivare alla terza età,
concludere la vita di un uomo che aveva visto crescere nel suo cinema. Ed
era suo padre la vittima designata, anche come attore. Sicuri del
progetto, decisero di dedicargli un documentario, Tatinek (papà). Voleva
essere celebrativo, divenne uno psico-cinedramma, con uno scontro
familiare e creativo tra le due generazioni. Nel 2004, questo
Lost in la
Mancha dell'est si concluse con una separazione, anche fisica, tra il cast
e papà Zdenek. Che però avendo grinta e tigna da vendere, in un anno ha
riscritto il film. |
Boris Sollazzo - Liberazione |
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Joseph è un insegnante di oltre 60 anni che, ritiratosi da una scuola "fuori sintonia", si ricolloca come responsabile del ritiro delle bottiglie vuote in un supermercato. Nonostante lo scetticismo della moglie, il lavoro non solo non lo umilia ma, al contrario, lo appassiona fornendogli l'occasione di fantasticare intrufolandosi nelle vite degli altri. La terza età, ancora una volta, funziona amabilmente sullo schermo: il tono del racconto è di esemplare, non sbanda nella retorica né nel pietismo, inquadra bene i passaggi e i paesaggi interiori. Con spirito sarcastico il regista di Kolya dà spazio agli attempati sogni erotici del protagonista e al fascino sempre intenso della sua Praga. |
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TORRESINO
- febbraio/marzo 2009 |
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