Parla con lei

Pedro Almodóvar

Benigno, giovane e sensibile infermiere, assiste Alicia, una ragazza in coma da quattro anni; Marco, invece, si prende cura della sua sua fidanzata Lydia, ridotta a uno stato vegetativo. Le vite dei quattro personaggi s’intrecceranno tra loro e andranno incontro a un destino inaspettato.

Hable con ella
Spagna 2001 (112′)
Oscar: miglior sceneggiatura originale

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   Dopo lo strepitoso successo di critica e di pubblico ottenuto con Tutto su mia madre (1999), Pedro Almodóvar coniuga qui la sofisticazione del melodramma classico, la complessità dell’intreccio postmoderno e la cifra stilistica del grande cinema d’autore con una invidiabile capacità di sintesi. In Parla con lei gli ingredienti sono diversi: la solitudine, il rapporto di coppia e, perfino, il cinema in un mélange dove la musica (la voce vellutata di Caetano Veloso, la splendida colonna sonora di Alberto Iglesias) e la danza (le suggestive coreografie di Pina Bausch) si fondono a una sceneggiatura di sottile pulizia drammaturgica e a una messa in scena nobilitata da soluzioni figurative folgoranti (fotografia di Javier Aguirresarobe). Un’opera profondamente matura, realizzata da un ex ribelle che ha saputo covertire l’irriverente spirito anarchico degli esordi in una profonda riflessione di alto rigore morale. Golden Globe come miglior film straniero e Oscar per la miglior sceneggiatura originale nel 2003.

longtake.it

   Una favola dolce e la cronaca turpe sono all’origine di Parla con lei, il nuovo bellissimo film di Pedro Almodóvar. La favola è quella della Bella Addormentata nel bosco, risvegliata dal suo eterno sonno sereno dal bacio (eufemismo) dell’amore. Le notizie di cronaca le conosciamo: quella volta che un giovane inserviente d’obitorio in Romania, sedotto dal cadavere d´una ragazza, lo possedette e lei si svegliò da una morte che era soltanto apparente; quella volta a New York che una ragazza in coma da nove anni rimase incinta per via di un inserviente d´ospedale… Il giovane infermiere Benigno (Javier Cámara), dopo essersi occupato per anni d’assistere la propria madre inerte, si dedica a una studentessa di danza entrata da anni in coma dopo un incidente automobilistico (Leonor Watling, attrice di fiction televisiva molto famosa in Spagna): le parla raccontandole i fatti del giorno, i pettegolezzi, le storie, leggendole i giornali o narrandole i film; la lava e asciuga, le taglia le unghie e i capelli, le massaggia il bellissimo corpo, la trucca e la veste; la nutre, la accompagna al sole, le cura la muscolatura e le vie respiratorie. Il modo di questo rapporto è per metà professionale, per metà amoroso, nutrito d´una serena tenerezza, d’una dedizione affaccendata e lieta senza noia e senza sforzo, d’una massima attenzione. Lui ha passione per la ragazza, non resisterà al desiderio di possederla, finirà in prigione, si ucciderà mentre lei, risvegliata dall´amore, torna alla vita e alla danza. Durante le lunghe ore passate nella clinica privata, Benigno ha conosciuto un uomo, giornalista e scrittore di viaggi (Darío Grandinetti), che pure lui si occupa di una donna in coma, una torera ferita dal toro nell’arena (Rosario Flores), una guerriera che lui ama ma che nella malattia non riesce a toccare. I due uomini diventano amici, in un legame forte e affettuoso senza altri desideri. Dopo la fine e la resurrezione, forse sarà il giornalista a unirsi alla ragazza danzatrice, seguendo una di quelle svolte impreviste e capricciose che l’esistenza sa offrire. Storie bislacche, impensabili: la bravura meravigliosa di Almodóvar, la sua umanità, riescono a renderle del tutto naturali, a farne il filtro di sentimenti intensi e commoventi, del dolore quotidiano come della sperata felicità. La maturazione stilistica del regista è straordinaria. In passato, nei suoi film sgangherati, scandalosi e divertenti le immagini erano l´ultima cosa, a contare erano soprattutto storie e personaggi, battute ed esagerazioni, provocazioni buffe, eccessi, estremismi spesso verbali, colori squillanti. Adesso la sua maestria visuale è ammirevole. Tutto sempre essersi placato nella cognizione del dolore, nell’attesa d´amore; uomini e donne, viventi e assenti, sono diventati intercambiabili, le lacrime hanno lo stesso rapporto con la sofferenza e con il piacere. Le trovate espressive non sono fine a se stesse, insignificanti, ma partecipi dell’emozione della vicenda: un prologo e un epilogo costituiti da brani di Cafè Muller e di Masurca Fogo di Pina Bausch, sette minuti d´un falso film muto ambientato nel 1924, Caetano Veloso che canta la sua canzone più struggente, non sono ostentazioni multiculturali, ma segni della pluralità delle passioni.

Lietta Tornabuoni – La stampa

cinélite  TORRESINO all’aperto: giugno-agosto 2002
V.O.S.  LUX: novembre-dicembre 2002

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